né vanità, né provocazione

marco mulazzani, 2020

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Il centro di arti contemporanee Arquipélago non é un'opera recente; non è una ragione sufficiente per non tornare a occuparsene. Come le opere ben riuscite anche Arquipélago è stata toccata molto marginalmente dal passare del tempo e tanto più ci è parso opportuno sottoporla all'attenzione dei nostri lettori dal momento che abbiamo deciso di proporre loro, con questo numero di "Casabella", di confrontarsi nuovamente con il tema del riuso, intesonelle sue più varie accezioni, che ogni giorno di più mobilita le energie degli architetti.

All'origine di Arquipélago vi à stato un concorso che João Mendes Ribeiro, Cristina Guedes e Francisco Vieira de Campos, progettisti che vantano nutriti curricula professionali e solide credenziali accademiche, si sono aggiudicati nel 2007. Tra il 2011 e il 2014 l'edificio é stato completato, portando così a termine la trasformazione di un'area di circa 13.000 mq, 3.100 dei quali scoperti, a Ribeira Grande nell'isola di São Miguel, nell'arcipelago delle Azzorre. São Miguel è l'isola maggiore dell'arcipelago e Ribeira Grande si trova sul versante opposto a quello dove sorge Ponta Delgada, la principale città di questa regione del Portogallo. Con la fine dei lavori di costruzione di Arquipélago si è conclusa una storia iniziata alla fine del 1800, quando a São Miguel si registrarono gli effetti delle innovazioni introdotte nell'agricoltura e fu creata una prima fabbrica di alcol, alla quale poi si aggiunse un impianto per la produzione del tabacco. Dismesse queste attività produttive, le costruzioni vennero acquistate dalla Regione Autonoma delle Azzorre e nel 2007 venne bandito il concorso per la loro trasformazione in un centro culturale.

Il programma funzionale che Mendes Ribeiro, Guedes e Viera de Campos hanno interpretato è una dimostrazione di come il progetto concepito dalla pubblica amministrazione fosse originale e ambizioso, e tanto più ciò risulta evidente se si tiene conto che il numero degli abitanti di Ribeira Grande è di poco superiore a 30.000, mentre quelli dell'isola di São Miguel sono circa 150.000. Sostanzialmente il Centro é costituito da quattro nuclei funzionali: uno ospita i depositi e gli annessi laboratori; il secondo studi e abitazioni per artisti, concepiti per consentire ai residenti una stretta interrelazione con gli spazi espositivi e al pubblico un diretto contatto con i loro ambienti di lavoro; nel terzo, collocato al centro dell'edificio preesistente, si trovano gli ambienti espositivi, la bliblioteca e gli uffici; un quarto, denominato 'black box', è a sua volta suddiviso tra uno spazio polivalente dotato dei servizi e delle attrezzature per l'allestimento di spettacoli treatrali e di un nucleo di laboratori per le sperimentazioni audiovisuali. Il processo che i progettisti hanno portato a termine è stato quello di trasformare una vecchia fabbrica di alcol e tabacco in una nuova fabbrica di cultura, immaginandola come l'ultima giacitura di una concrezione stratificata. La strategia da loro adottata risulta molto chiara percorrendo le diverse parti del complesso, il cui interno è il risultato di un lavoro teso ad amalgamare, attraverso la risignificazione funzionale, le parti vecchie e quelle nuove, riconoscendo alle prime l'unico valore di cui sono portatrici, ovvero di essere preesistenze. Questa decisione ha permesso agli architetti di operare con la libertà nel configurare le parti nuove, adottando un linguaggio che soltanto per un aspetto lo si potrebbe ritenere mimetico, ossia nell'avere mutuato dalla vecchia, anonima costruzione industriale, i tratti di una severa, controllata essenzialità. Questa cifra ricuce ogni passagio da uno spazio all'altro, da ogni corpo di fabbrica all'altro, ma non annulla gli scarti tra l'uno el'altro, resi evidenti anche dall'uso dei materiali impiegati, sebbene la deciosine assunta dai progettisti di raccordare la cromia delle nuove parti in cemento armato con quelle delle vecchie murature per lo più realizzate in pietra vulcanica riconduca ogni accadimento a una sorta di unitarietà di fondo. Se i profili del complesso non hanno subito variazioni significative, i diversi volumi non mascherano le loro differenti origini e la loro appartenenza a momenti storici diversi, come si coglie osservando la contrapposizione tra il nuovo corpo in aggetto costruito in cemento armato bruno e la costruzione chelo fronteggia intonacata di bianco che configurano l'ingresso, a sud, al Centro di arti contemporanee.

Analogo è l'approccio adottato dagli architetti all'interno del complesso, dove gli ambienti, riorganizzati secondo un efficiente sistema di percorsi, si susseguono nell'alternarsi si spazi semplicemente ripuliti e attrezzati e di inserti autonomamente configurati, come nel caso dei vani scale e del laboratorio approntato per gli esperimenti audio-visuali. La successione degli ambienti, inoltre, è caratterizzata da ampie aperture che consentono di percepire continuamente come l'intera costruzione sia stata ricavata operando all'interno di una stratificazione per poi aggiungervi una nuova concrezione ancorata agli interstizi, ovverto alle corti interne. A conclusione di questo lavoro di rammendo, compiuto avvalendosi di un numero limitato di fili, l'episodio che meglio rende palesi quali fossero le ambizioni sia del programma che ha portato alla costruzione di Arquipélago sia quelle degli architetti, è rappresentato dallo spazio del 'black box'. Si tratta di un vasto ambiente attrezzato per accogliere spettacoli teatrali e di altranatura, definito sui due lati maggiori da una muratura che supporta le attrezzaturetecniche e, sul versante opposto, da un'ampia vetrata che, anche di questo caso, riconduce, verrebbe da dire, all'interno del più astratto degli spazi lapresenza di quanto intorno a esso si è venuto col tempo depositando. Se, traqualche decennio, a uno studioso frettoloso capitasse di chiedersi comel'architettura è cambiata nel passaggio dal XX al XXI secolo, probabilmente troverebbe facile concludere che non era che il riflesso del lavoro di uomini che "dopo essere stati moderni, si fecero moderni vanitosamente, con aria provocante", come diceva Paul Hazard. Ma se a questo ipotetico passato si guarderà con maggiore attenzione bisognerà ammettere che la strada della vanità e della provocazione non era per tutti la prediletta, come quest'opera di João Mendes Ribeiro, Cristina Guedes e Francisco Vieira de Campos dimostra.

Marco Mulazzani

Casabella 911-912

07/2020

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